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Senegal. Il mango e l’altra globalizzazione


Se compri quel mango, fai un dispetto ai bana bana. E perché mai dovremmo dare un dispiacere a gente con un nomignolo dal suono tanto grazioso? Semplice, perché, al di là della comprensibile poca consuetudine delle nostre orecchie, quel “bana bana” indica gli intermediari che stabiliscono il prezzo e taglieggiano i frutticoltori della Casamance, la regione più bella e martoriata del Senegal. Proprio per sfuggire allo sfruttamento dei “bana bana”, i 124 piccoli produttori dell’Associazione dell’Arrondissement di Diuloulou [Apad] affrontano oggi un lungo e pericoloso viaggio di due giorni. Varcano due volte i confini del Gambia per raggiungere infine l’aeroporto di Dakar, da dove i manghi vengono spediti in Italia, dove, proprio in questi giorni di fine luglio, cominciano a essere distribuiti da Unicoop di Firenze. Questo avventuroso percorso, favorito da un progetto di cooperazione agricola del Cospe [la Ong che collabora con Apad dal lontano 1988], ha un’importanza davvero rilevante per i consumi dei prodotti che rispettano il lavoro del Sud del mondo. In primo luogo perché in questo modo arrivano in Italia i primi manghi certificati da Fairtrade Transfair, e poi perché Apad è la prima associazione senegalese del commercio equo che diventa anche esportatore. Se a tutto questo si aggiunge che la splendida e verde Casamance è da oltre vent’anni un vero e proprio campo di battaglia [ricoperto di mine antiuomo] tra i governi repressivi di Dakar e la guerriglia indipendentista, ecco che quel dispetto ai bana bana e, soprattutto, quel sostegno alle famiglie che vivono solo di quel che producono i loro piccoli frutteti, assume un valore straordinario e concreto. Naturalmente, il presupposto di questo discorso è che il mango, quando arriva alla giusta maturazione, è un frutto profumato e davvero delizioso.

Fonte: Transfair Italia
martedì 24 agosto 2004


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