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Prosciuttopoli: caos nella filiera del prosciutto di Parma. Il 50% dei verri non può essere controllato! Bloccate le marchiature. In arrivo provvedimenti del Mipaaft

Dopo un lungo colpevole silenzio della filiera del prosciutto di Parma Dop, in questi giorni il sindacato Flai Cgl a nome dei lavoratori del settore ha chiesto alle aziende “una massiccia esclusione del prodotto non conforme”. Carlo Galloni, capo gruppo del settore prosciuttifici dell’Unione parmense degli industriali, ha replicato su La gazzetta di Parma dicendo che la sicurezza alimentare del prodotto non è mai stata messa in discussione. Galloni ha dovuto ammettere qualche problema con l’introduzione illecita avvenuta almeno 4 anni fa dei suini di razza Duroc danese, ha anche ammesso il rinvio a giudizio dei macellatori che hanno preso in giro i prosciuttifici e ha ricordato il provvedimento di smarchiatura di centinaia di migliaia di cosce. Ha dovuto ammettere che esiste ancora un problema per l’eccesso di peso medio delle partite di suini su cui sta indagando il Mippaft, sottolineando che si tratta di una “Non conformità lieve”.

La narrazione di Galloni cerca di ingentilire una realtà con diverse criticità. Viene spontaneo chiedersi come sia possibile che per anni prosciuttifici siano stati vittime di un sistema che vendeva loro cosce di maiali di razze vietate dal disciplinare. Questo vuol dire non avere fatto esami sulla genetica dei prosciutti, affidandosi completamente all’autocertificazione degli allevatori, ai controlli distratti degli enti certificatori, alle dichiarazioni incomplete e approssimative dei macellatori e alla supervisione inutile del Consorzio di tutela del prosciutto di Parma. Diciamo che per essere imprenditori sono stati “superficiali” e hanno comunque loro malgrado venduto ai consumatori un numero esagerato di falsi prosciutti Dop.

Di fronte a una situazione che evidenzia gravissime lacune nella filiera, gli industriali e il Consorzio del prosciutto di Parma dicono di non essersi accorti di nulla, e scaricano le responsabilità su allevatori furbetti e macellatori scorretti. Galloni considera i suoi parte lesa, perché non hanno saputo riconoscere i veri prosciutti! A questo punto anche il Consorzio, che ha scoperto la truffa solo quando è arrivata nelle aule dei tribunale, si può considerare parte lesa. Ma queste non sono certo motivazioni valide. Rovagnati, Citterio, Grandi salumifici italiani… sapendo che circolavano da anni centinaia di migliaia di false cosce di maiale avviate al circuito Dop, avevano il diritto/dovere di chiedere accertamenti, di fare analisi sulla genetica per verificare la correttezza delle autocertificazioni degli allevatori e quant’altro. Non hanno fatto niente e non si sono accorti di nulla! Distrazione, superficialità o altro? Le giustificazioni non mancano certo. L’ente di certificazione del prosciutto di Parma (Istituto Parma qualità- IPq) non ha controllato la genetica perché non è scritto nel piano di controllo. Anche il Consorzio si accontentava di un’autocertificazione degli allevatori, mentre i prosciuttifici si limitavano a leggere incartamenti sulla tracciabilità sull’origine dei maiali e sulla razza! Eppure un’analisi della genetica a campione sul 5 per mille dei prosciutti costerebbe ben poco rispetto al business milionario della filiera. Per capire quanto sia “fuori controllo” la situazione basta dire che l’Istituto Parma qualità- IPq ha sospeso da un mese le marchiature delle cosce in stagionatura. Si tratta dell’ultimo gesto di un ente che dal gennaio 2018 è stato sospeso per 9 mesi, e che nell’ultimo anno ha azzerato due volte lo staff dirigenziale. C’è un particolare sconosciuto ai più. Un documento inviato dall’IPq ai responsabili dell’Icqrf del Mipaaft il 6 maggio 2019, dice che per la metà dei verri controllati nei primi cinque mesi del 2019 non è stato possibile verificare il tatuaggio auricolare, perché i caratteri sono sfuocati, perché la pelle troppo scura si confonde con i numeri. In diversi casi il codice non si vede, per cui viene riportato su una placca di plastica appesa all’orecchio con una scritta a pennarello! Insomma il 50% dei maiali del prosciutto di Parma non può essere certificato come suino pesante italiano, quindi non si può accertare la genetica e non si può certificare come suino pesante destinato alla filiera Dop.

L’amara constatazione del cronista è che siamo di fronte a una filiera che “non vede, non sente, non parla”. Per questo motivo nessuno ammette le colpe. I più arguti provano a scaricare le responsabilità su altri pensando di cavarsela. Altri invece cercano di giustificare il malaffare considerando Prosciuttopoli una questione di qualche chilo in più dei maiali avviati al macello. È questa la tesi che industriali, consorzi, regione ed enti di controllo portano avanti sperando di sistemare le cose con una sanatoria generale. L’obiettivo è chiudere al più presto lo scandalo dichiarando che c’è stata una “Non conformità lieve” e una distrazione nei controlli che però non hanno intaccato la filiera e la qualità del prosciutto. Non è così, lo dimostrano i processi in corso, le condanne e le ammissioni di colpa degli imputati. Non è così perché i Consorzi in segreto stanno rivedendo i disciplinari che non funzionano più e anche i Piani di controllo. La filiera deve emarginare i soggetti che hanno infangato il sistema. Se passa la linea della “Non conformità lieve” si vanifica il sistema delle Dop, si giustifica il malaffare e l’incapacità dei controllori, dei Consorzi e dei prosciuttifici. Bisogna smarchiare tutte le cosce dubbie per restituire fiducia ai consumatori. In questa fase è decisivo il ruolo dell’Ispettorato centrale repressione frodi – Icqrf del Ministero delle politiche agricole, che non può avallare una situazione in grado di rovinare il buon nome dei prosciutti Dop italiani. Voci accreditate confermano che sono in arrivo provvedimenti. (di Roberto La Pira)
https://ilfattoalimentare.it

sabato 20 luglio 2019


 
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