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Le Ong possono chiedere il riesame delle autorizzazioni agli OGM, perché ambiente e salute sono connessi. Il Tribunale dell’Ue dà torto alla Commissione.

Il Tribunale dell’Ue ha annullato la decisione con la quale la Commissione europea aveva respinto la richiesta di un’organizzazione non governativa, la TestBioTech, volta ad ottenere il riesame dell’autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti contenenti soia geneticamente modificata. La richiesta dell’Ong era stata avanzata sulla base di un regolamento dell’Unione che consente alle organizzazioni non governative di partecipare ai processi decisionali in materia ambientale, il cosiddetto “regolamento di Aarhus”. La Commissione Ue aveva obiettato che gli aspetti legati alla valutazione sanitaria degli alimenti o dei mangimi OGM non potevano essere esaminati nel contesto del regolamento di Aarhus, dal momento che tali aspetti non riguardavano la valutazione dei rischi ambientali, bensì il settore della sanità.

Secondo il Tribunale dell’Ue, invece, le censure sollevate dalla TestBioTech nella sua richiesta di riesame rientrano pienamente nell’ambito del diritto ambientale ai sensi del regolamento di Aarhus. Infatti, osserva il Tribunale, durante la loro coltivazione gli OGM, in linea di principio, fanno parte dell’ambiente naturale e costituiscono quindi normalmente un elemento dell’ambiente. Di conseguenza le disposizioni nel regolamento sull’etichettatura degli OGM, che mirano a disciplinare gli effetti degli organismi geneticamente modificati sulla salute umana o degli animali, rientrano anch’esse nel settore dell’ambiente. Quindi, secondo il Tribunale, il diritto ambientale ai sensi del regolamento di Aarhus comprende ogni disposizione normativa dell’Unione che disciplina gli OGM al fine di gestire un rischio per la salute umana o degli animali derivante da essi, o da fattori ambientali che possono avere ripercussioni sugli OGM durante la loro coltivazione o il loro allevamento nell’ambiente naturale.

La Commissione Ue ha ora due mesi di tempo per ricorrere alla Corte di giustizia europea contro la sentenza del Tribunale dell’Ue ma limitatamente alle sole questioni di diritto. (di Beniamino Bonardi)


www.ilfattoalimentare.it

venerdì 30 marzo 2018


 
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