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4 milioni di tonnellate di grano duro canadese ‘tossico’ pronto per essere esportato: indovinate dove…

Ovviamente in Europa. Ovviamente in Italia. Domani – di certo casualmente – una delegazione canadese sarà ospitata dalla Camera di Commercio di Foggia, tra le proteste degli agricoltori ai quali un sistema truffaldino impone prezzi bassi del grano duro locale. L’Unione Europea – nel nome del business – consente l’importazione di grano duro estero – anche se tossico – per l’alimentazione animale (facendo finta di non sapere che poi i veleni finiscono comunque sulle nostre tavole sotto forma di carne, salumi, uova, formaggi). Ma c’è il dubbio che finisca pure nella filiera della pasta con il gioco del sovrapprezzo, come denuncia GranoSalus.

Ci sono, pronti per invadere l’Europa, 4 milioni di tonnellate di grano duro canadese di quarta e quinta classe. E’ un grano che non dovrebbe essere dato nemmeno agli animali, perché è pieno di micotossine. E siccome è stato fatto maturare artificialmente, contiene anche glifosato. Insomma, è un prodotto tossico, che andrebbe distrutto. “Invece i canadesi lo vogliono esportare: abbiamo la sensazione, che è più che una sensazione, che lo vogliano esportare in Europa. Magari in Italia, con le solite navi”, ci dice Saverio De Bonis, presidente di GranoSalus, l’associazione che raccoglie produttori di grano duro di tutto il Sud Italia e tanti consumatori. “Questo grano duro arriva in Italia con la scusa che viene utilizzato come mangime per gli animali – prosegue De Bonis -. E già questa è una follia. Perché i veleni contenuti in questo grano si trasferiscono nelle carni che finiscono sulle nostre tavole. E anche nei salumi, nei formaggi, nelle uova e via continuando. Ma noi non riusciamo a liberarci di un retro-pensiero: e cioè che, attraverso raggiri, questo grano tossico, miscelato con il grano duro prodotto nel Mezzogiorno d’Italia, finisca nella filiera della pasta industriale”. Sarà ovviamente un caso che domani, a Foggia, presso la Camera di Commercio, sarà presente una delegazione canadese?”. “Per noi la presenza dei canadesi a Foggia è una provocazione – aggiunge De Bonis -. Foggia è sede del mercato del grano duro più importante d’Italia. L’Italia non ha bisogno del grano duro canadese. Per questo, domani, una folta delegazione di agricoltori sarà presente davanti la Camera di Commercio di Foggia per protestare”. Ma come può un grano duro destinato all’alimentazione degli animali di allevamento finire nella filiera della pasta? “Con il gioco della sovrafatturazione – ci racconta sempre De Bonis -. Il metodo è semplice. Supponiamo che un’azienda agricola produca 30 quintali di grano duro per ettaro. Bene: se un anno produce 50 quintali di grano duro per ettaro chi gli deve dire niente? Chi va a controllare?”. A conti fatti il gioco è semplice: il grano duro pieno di glifosato e di micotossine viene fatto passare come grano locale, con tanto di fattura. E quando li becchi questi signori che fanno ‘sto gioco? “Si possono beccare – ci risponde il presidente di GranoSalus -. E chiaro che questo sistema truffaldino deve, per forza di cose, fare base su agricoltori compiacenti. Dopo di che andrebbero effettuati i controlli sui mangimifici. Perché se nei mangimifici dovesse mancare il grano duro acquistato per l’alimentazione animale,beh, è chiaro che sarebbe finito altrove…”.

Tutto è strano, nel mondo dell’agricoltura italiana. Grazie a raggiri, puntualmente denunciati da GranoSalus, il prezzo del grano duro del Sud Italia è basso a fronte di una domanda molto sostenuta. “E mentre noi cerchiamo di capire chi tiene il prezzo del nostro grano duro così basso – ci dice sempre De Bonis – che cosa fanno i vertici della Camera di Commercio di Foggia? Ricevono una delegazione canadese. Noi non ci stiamo. Non vogliamo più il grano canadese che arriva con le navi, pieno di micotossine e glifosato. Questa volta non molleremo. Se il sistema pensa di far arrivare in Italia, in un modo o nell’altro, una parte dei 4 milioni di tonnellate di grano duro tossico con le solite navi noi ci opporremo con tutte le nostre forze”. Intanto un carico di grano destinato agli animali, nei giorni scorsi, è arrivato a Napoli. Lo ha denunciato nella sua pagina facebook Cosimo Gioia, un agricoltore siciliano che negli anni passati ha ricoperto la carica di dirigente generale del dipartimento Agricoltura della Regione siciliana. E che è stato mandato a casa quando ha provato a verificare la qualità – in molti casi pessima – dei grani duri che arrivano nei porti siciliani con le navi. Vicenda che lo stesso Gioia ci ha raccontato nel seguente articolo: Cereali bloccati a Ravenna perché tossici. E in Sicilia che succede con il grano? Ce lo chiediamo perché, nel Novembre del 2014, abbiamo intervistato l’ex dirigente generale della Regione, dipartimento Agricoltura, Cosimo Gioia, che ci ha raccontato la sua disavventura: la disavventura di un dirigente che ha cercato di fare chiarezza sulla salubrità dei grani che arrivano in Sicilia con le navi ed è stato bloccato dai potenti e dagli ‘ascari’ della politica siciliana. Breve digressione sui grani ‘biologici’ della nostra Isola e, in generale, sull’agricoltura ‘biologica’… Il Fatto quotidiano di oggi pubblica un articolo dal titolo: “Ravenna, diossina nel grano per gli allevamenti: fermate 20 mila tonnellate” (che potete leggere qui: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/22/ravenna-bloccate-20-mila-tonnellate-di-grano-ucraino-contaminato-da-diossina/1035641/#commenti-mobile). Subito il nostro pensiero è volato al porto di Palermo e, in generale, ai grani che invadono la Sicilia. Ci siamo ricordati di Cosimo Gioia, già dirigente generale della Regione siciliana, dipartimento Agricoltura. E di un’intervista che chi scrive ha pubblicato nel Novembre del 2014. In questa intervista si parla dei grani siciliani e dei controlli, anzi, dei mancati controlli sui grani che arrivano in Sicilia con le navi. Rileggiamo assieme alcuni passi di questa intervista a Cosimo Gioia: “Quando mi sono insediato all’assessorato regionale all’Agricoltura ho appurato che i pastifici siciliani che utilizzavano il grano duro siciliano si contavano sulla punta delle dita, compresa la Tomasello. E che la stragrande maggioranza del grano arrivava, e arriva ancora oggi, con le navi. Così ho disposto i controlli sanitari del grano che arriva in Sicilia con le navi. Ho accertato che erano e sono navi assolutamente inadeguate, magari ex petroliere, che trasportano granaglie provenienti da Paesi dove sono state trattate con fitofarmaci pesanti, cioè veleni, fino a prima della raccolta. Grano pieno di micotossine. Grano che arrivava e arriva anche da Cernobyl”. E che è successo? “Di tutto. Perché questi controlli nell’interesse degli ignari consumatori siciliani che mangiano pane e pasta fatti con grano arrivato da chissà dove non si dovevano attuare. Non bisognava disturbare i due-tre grandi importatori che comandano il prezzo del grano in Sicilia. Sarebbe stato semplice affrontare e risolvere il problema, ma non si è voluto. Avevo pronto il progetto per il marchio del grano duro siciliano. I pastifici siciliani erano d’accordo. Tutti d’accordo, tranne la politica siciliana”. In che senso? “Nel senso che mi hanno sbattuto fuori. Hanno vinto i due-tre grandi commercianti che oggi continuano a controllare il mercato del grano in Sicilia”. E il presidente Lombardo? “Mi dava ragione. Mi assecondava. Poi, però, mi ha tolto l’incarico”. Solita storia. Oggi? “Ancora oggi in Sicilia arrivano le solite navi con il solito grano e i siciliani mangiano. E oggi che, anche grazie alla crisi Ucraina, il prezzo del grano duro siciliano è schizzato a 40 centesimi e forse più, cosa fanno i politici siciliani? Sono preoccupati. Hanno ragione: per loro se gli agricoltori siciliani ci guadagnano è un problema. Forse perché li debbono tenere al cappio. Sono incredibili, gli attuali politici siciliani. Invece di pensare a un marchio del grano duro siciliano, invece di favorire la produzione di pasta e pane con grano duro della nostra terra utilizzando al meglio questa congiuntura internazionale favorevole, si lamentano che il prezzo è alto. Incredibile. Se fossero stati un po’ attenti, seguendo magari Report, saprebbero che già alcuni mesi fa la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli aveva previsto che il prezzo del grano sarebbe schizzato a 50 centesimi al chilogrammo. Questo sempre per rispondere a certi politici siciliani”. Ma del suo progetto per controllare la salubrità delle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia e del marchio del grano duro siciliano i suoi successori, Salvatore Barbagallo e Dario Cartabellotta, hanno fatto qualcosa? “Lo chieda a loro”. Fin qui l’intervista del Novembre 2014. E oggi? Abbiamo rintracciato al telefono Cosimo Gioia che, sempre gentile, ha risposto alle nostre domande. E’ cambiato qualcosa rispetto a due anni fa? “Non mi sembra proprio. Io stavo avviando una serie di controlli scientifici sulle navi cariche di grano che arrivano in Sicilia. E l’ho fatto rischiando di persona, perché ho toccato interessi consolidati. Ma, come ho già raccontato qualche anno fa, sono stato bloccato”. Quindi in Sicilia continuiamo ad arrivare grani senza controlli? “Credo proprio di sì”. E il grano siciliano che fine fa? “Il grano siciliano è tra i migliori al mondo sotto il profilo della qualità. E’ uno dei pochi grani nei quali le aflatossine sono praticamente non rintracciabili”. Che significa? “Le aflatossine sono sostanze tossiche prodotte dai funghi che si sviluppano nel grano. In Sicilia, dove ad Aprile, a Maggio e a Giugno il sole spacca le pietre, questi funghi non trovano le condizioni climatiche per svilupparsi”. E che fine fanno i grani siciliani? “A parte il prodotto che viene commercializzato qui in Sicilia – e parliamo di quantitativi minimi – la maggior parte del grano prodotto nelle contrade siciliane prende la via dell’estero”. E a noi siciliani rifilano il pane fatto con i grani che arrivano con le navi… “Purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi è così. Io, da dirigente generale della Regione siciliana, ho provato a cambiare le cose, nell’interesse dei consumatori siciliani. Ma sono stato travolto da grandi interessi e, soprattutto, dall’ascarismo della politica siciliana”. Visto che lei è un tecnico e che nella vita fa l’imprenditore agricolo possiamo fare chiarezza sui grani biologici prodotti in Sicilia? A noi ‘sta storia dei grani biologici convince poco. “E convince poco anche me. Come ho già detto, ci sono periodi dell’anno in cui il grano siciliano cresce senza problemi. Ma a Marzo, quando si pone il problema delle malerbe, si deve intervenire”. E come si interviene? “Con gli erbicidi”. Cioè con i prodotti chimici? “Certo. A meno che non si decida di eliminare le malerbe manualmente. Ma con costi di produzione elevatissimi”. Mai lei cosa pensa del grande boom dell’agricoltura biologica siciliana? “Passiamo alla domanda di riserva”. P.S. In effetti, da almeno sei-sette anni chi scrive si chiede: ma che fine fa tutta la produzione agricola ‘biologica’ della Sicilia che dovrebbe giustificare i 320 milioni di Euro di contributi del Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013? (Parliamo dei fondi in parte già erogati – 180 milioni di Euro – e in parte ancora da erogare (altri 140 milioni di Euro): risorse a rischio dopo un pronunciamento del TAR Sicilia per il quale non è stato inoltrato ricorso al CGA, da parte della Regione, nei termini di legge. Il problema è serio e dovrebbe essere affrontato dall’Unione Europea e anche dagli altri Paesi del mondo. Anche perché l’Italia esporta quasi 2 milioni di tonnellate di pasta all’anno. Insomma, tutti dovrebbero essere preoccupati per quello che succede con i grani duri tossici.

Ma all’Unione Europea, di quello che succede con il grano tossico non gliene può fregare di meno, come abbiamo raccontato nel seguente articolo: Inchiesta/ A Bruxelles hanno intenzione di continuare a farci mangiare pane, pasta e dolci al glifosato? (http://www.inuovivespri.it/2016/11/22/inchiesta-a-bruxelles-hanno-intenzione-di-continuare-a-farci-mangiare-pane-pasta-e-dolci-al-glifosato/) L’Unione Europea, nelle scorse settimane, ha formato con il Canada un trattato commerciale che si chiama CETA. Il Canada esporta prodotti agricoli (e quindi anche il grano duro) e l’Unione Europea esporta in Canada prodotti industriali. In più, gli europei vanno in Canada a gestire servizi & appalti. Nel nome del sacro business gli europei – uomini e animali – si debbono mangiare l’appetitoso grano duro canadese… GranoSalus ci ha fornito i dati ufficiali sulla produzione di grano duro del Canada di quest’anno. La produzione di grano duro canadese, quest’anno, si attesta sui 7,8-8 milioni di tonnellate. Di questa produzione, solo il 10% rientra nella cosiddetta prima classe (ovvero un prodotto di alta qualità); il 40% di grano duro canadese prodotto quest’anno rientra nella seconda e terza classe: non è il massimo, ma può andare bene, specie se miscelato; poi c’è il 50% di produzione canadese di quest’anno che viene considerata grano duro di quarta e quinta classe: ebbene, questo grano non andrebbe utilizzato per usi alimentare, ma distrutto. Invece questo grano, come ci ha detto De Bonis, viene utilizzato come mangime per gli animali. GranoSalus ci ha fornito anche i dati dell’Import/export del grano duro in Italia, dal 2011 ad oggi. Nel 2011 l’Italia ha importato 2,2 milioni di tonnellate di grano duro e ne ha esportato 500 mila; nel 2012 abbiamo importato un milione e mezzo di tonnellate di grano duro e ne abbiamo esportato 201 mila tonnellate; nel 2013 il nostro Paese ha importato un milione e 682 mila tonnellate di grano duro e ne ha esportato 137 mila tonnellate; nel 2014 l’import schizza di nuovo all’insù: 2 milioni e 784 mila tonnellate e ne abbiamo esportato 271 mila tonnellate; nel 2015 l’Italia ha importato 2 milioni e 372 mila tonnellate di grano duro e ne ha esportato 435 mila tonnellate. “Come si può notare – sottolinea De Bonis – il saldo, per il nostro Paese, è sempre negativo. E’ importante osservare l’aumento delle importazioni avvenuto in Italia nel 2014, proprio quando il Canada registra un’impennata di produzione di grano duro prodotto nelle aree fredde e umide, dove le muffe si sviluppano a ruota libera”. Da questi numeri viene fuori un paradosso: l’Italia importa grandi quantitativi di grano duro, ma non fa nulla per potenziare la produzione del grano duro nel Sud Italia – Puglia, Sicilia, Basilicata in primo luogo – che è considerato, sotto il profilo della qualità, uno dei migliori del mondo. Ma alle industrie – soprattutto alle industrie della pasta – non interessa il grano duro buono. Interessa il grano duro con un’alta percentuale di glutine: perché un’alta percentuale di questa sostanza proteica riduce i tempi di essiccazione e abbassa i costi di produzione. Il problema è che questo grano particolarmente ricco di glutine, se è stato fatto maturare artificialmente contiene anche una grande quantità di glifosato, come potete leggere qui di seguito: Il grano duro canadese migliore di quello siciliano? Falso: è solo un grande imbroglio al glifosato (http://www.inuovivespri.it/2016/08/13/il-grano-duro-canadese-migliore-di-quello-siciliano-falso-e-solo-un-grande-imbroglio-al-glisofato/) E il glifosato non è proprio un toccasana per la salute dell’uomo. (fonte www.inuovivespri.it - 13/12/2016
www.inuovivespri.it

sabato 18 febbraio 2017


 
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