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Giorgiana Masi, quell'omicidio della "Ragion di Stato" rimasto nell'omertà e nella menzogna.

Il 12 maggio del 1977 veniva uccisa a Roma Giorgiana Masi, appena diciannovenne. Oggi a mezzogiorno è in programma un sit in a ponte Garibaldi per ricordarla. Pubblichiamo un passo del libro di Paola Staccioli "101 donne che hanno fatto grande Roma" (Newton Compton 2011)

"Corre veloce Giorgiana Masi. Corre più veloce che può. Corre a fianco al suo ragazzo nello scorcio di un infernale pomeriggio di primavera inoltrata. Corre per mettersi in salvo dalle cariche della polizia, dai lacrimogeni, dagli spari ad altezza d’uomo che da ore impazzano nel centro di Roma. È il 12 maggio del 1977. Il Partito radicale ha indetto un sit-in per celebrare il terzo anniversario del referendum sul divorzio. Una grande vittoria civile. Altri diritti già premono per essere conquistati o difesi. È in corso una raccolta di firme per otto referendum. Ma a Roma è ancora in vigore il divieto di manifestare, deciso dopo il 21 aprile, giorno della morte di un agente di polizia durante uno scontro di piazza. Il movimento e i gruppi della nuova sinistra hanno aderito all’iniziativa radicale. Vogliono far sentire la propria voce contro quello che ritengono un inaccettabile restringimento degli spazi di agibilità politica. Il ’77 è l’anno della grande rivolta, dell’esplosione di un movimento che sorge dalla crisi dei gruppi extraparlamentari e si sviluppa sul rifiuto della mediazione e delle forme dell’agire politico della sinistra storica. Prende avvio dagli studenti universitari ma vi partecipano disoccupati, precari, lavoratori dei servizi, “indiani metropolitani”, femministe, che pongono alla ribalta un nuovo modo di concepire la vita e la politica. Lo Stato risponde con la polizia, creando un’atmosfera che innalza velocemente il livello dello scontro.

L’appuntamento per la festa radicale è a piazza Navona. Francesco Cossiga, Ministro dell’Interno, decide che il divieto deve essere rispettato. Costi quel che costi. Schiera poliziotti e carabinieri in assetto di guerra, affiancati da agenti in borghese delle squadre speciali, in alcuni casi mimetizzati da “autonomi”. Fin dal primo pomeriggio il clima è caldo. La polizia picchia e ferma manifestanti davanti al Senato, a Palazzo Madama. Anche fotografi, giornalisti, deputati sono duramente malmenati. Presto si creano altri focolai di tensione. Rapidi scontri si accendono qua e là. Brevi cortei, fortunose barricate, rudimentali molotov. In risposta, candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Alla Camera i parlamentari radicali protestano contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle venti quando parte una nuova dura carica. I manifestanti corrono, spalle al fiume, cercando rifugio verso viale Trastevere. Pioggia di lacrimogeni. Poi una sequenza di colpi secchi. Provengono da ponte Garibaldi, dichiarano i testimoni. Dove sono attestate le forze di polizia. Una pallottola ferisce una ragazza a una gamba. Poco lontano Giorgiana Masi, diciannove anni non ancora compiuti, studentessa del Liceo scientifico Pasteur, prosegue la corsa per inerzia. Qualche passo ancora, poi vola a terra. Cade, braccia in avanti, proprio in mezzo al lungotevere. I suoi compagni la sollevano, la portano al riparo, la sentono mormorare Oddio che male. Credono abbia inciampato. Non si vede sangue. Quando la mettono a terra ha gli occhi sbarrati, il corpo rigido. Una crisi epilettica, pensano. Interviene un medico ma in mezzo al putiferio non sa che fare. Caricata su una macchina, Giorgiana arriva in ospedale già morta. Centrata alla schiena da un proiettile. Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell’Interno, spingono il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento «il grande senso di prudenza e moderazione» delle forze dell’ordine, è più volte costretto dall’evidenza a modificare la propria versione. Il Partito radicale effettua un puntuale lavoro di ricostruzione dei fatti. Numerose testimonianze, e soprattutto inequivocabili foto e filmati riprendono agenti armati, in divisa e in borghese, mentre puntano armi da fuoco o sparano contro i manifestanti. Cossiga deve ammettere la presenza delle squadre speciali. Continua però a negare che la polizia abbia fatto fuoco.

Per l’omicidio di Giorgiana non vi è mai stato un processo. Fra omissioni, errori peritali, garbugli giudiziari vari, l’inchiesta si è conclusa nel 1981 con una sentenza di archiviazione «per essere rimasti ignoti i responsabili del reato». Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un “autonomo” ormai deceduto oppure nel latitante Andrea Ghira, uno degli autori del massacro del Circeo. Più recentemente, nel 2007, in una delle varie esternazioni choc, Francesco Cossiga ha dichiarato di essere fra le cinque persone che sanno chi ha ucciso Giorgiana Masi. La cosa finisce lì. L’anno dopo suggerisce ai responsabili dell’ordine pubblico la sua personale ricetta per tenere a bada i movimenti di protesta, a base di infiltrati e agenti provocatori. Per la generazione politica che negli anni Settanta si riversava in piazze cariche di ideali, speranze, progetti ma anche rabbia, disillusione, morte, Giorgiana è assurta a simbolo della violenza di Stato. Un simbolo che la memoria collettiva identifica con l’immagine di una fototessera pubblicata dai giornali subito dopo i fatti, che ritrae una ragazza con il volto regolare, i lunghi capelli lisci, gli occhi velati di tristezza".
www.controlacrisi.org

mercoledì 13 maggio 2015


 
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