Kobane: i soldati turchi uccidono Kader Ortakaya, una giovane attivista curda.
La Turchia come l’Isis… Abbiamo scritto solo due giorni fa della recrudescenza della
repressione del regime Erdogan-Davutoglu contro la popolazione curda e la sua protesta
contro la complicità di Ankara nei confronti dei jihadisti che dilagano in Siria, Iraq e
Libano, e siamo di nuovo costretti a scrivere di una nuova vittima. Giovedì a perdere la
vita è stata Kader Ortakaya, una giovane attivista curda della Piattaforma Collettiva per la
Libertà e studentessa all’Università di Marmara (ad Istanbul), uccisa con un colpo alla
testa sparato da alcuni militari turchi contro un gruppo di persone che manifestava
pacificamente, realizzando una catena umana a Suruc, cittadina gemella di Kobane sul lato
turco del Kurdistan.
Una frontiera ipermilitarizzata dall’esercito di Ankara, con migliaia di
soldati che assistono all’eroica battaglia dei guerriglieri e delle guerrigliere curde che
difendono da parecchie settimane la città del Rojava assediata e bombardata dai miliziani
dello Stato Islamico. La città non è caduta nelle mani del califfato e Ankara non ha
ricevuto da Washington l’ok a invadere il nord della Siria e a imporre la sua ‘no fly zone’
contro il governo di Damasco. Il regime islamista turco ha più volte affermato di
considerare la guerriglia di sinistra curda peggiore dell’Isis e non sono mancate scene di
fraternizzazione e collaborazione tra i militari di Ankara e i jihadisti che pure Erdogan
afferma di considerare un nemico, anche se non prioritario. Negli ultimi mesi l’esercito
turco è ricorso più volte alla forza contro sfollati curdi, attivisti politici e giornalisti che
cercavano di attraversare la frontiera per andare a documentare cosa accadeva a poche
centinaia di metri, a Kobane, oppure per unirsi ai combattenti delle Ypg e delle Jpg. Più
volte i cannoni ad acqua e le pallottole di gomma hanno mostrato plasticamente al mondo
da che parte sta la Turchia, con numerosi feriti nei combattimenti contro i miliziani
jihadisti morti a pochi metri dagli ospedali di Suruc perché Ankara ha negato loro di
oltrepassare la frontiera. Ma quanto è accaduto giovedì ha dell’incredibile: alcune decine
di attivisti hanno formato una catena umana lungo il confine, insieme ad artisti e musicisti
dell’Iniziativa per l’Arte Libera. Per tutta risposta i soldati turchi li hanno prima attaccati
con lacrimogeni e pallottole di gomma e poi improvvisamente hanno iniziato a sparare
pallottole vere. La 28enne Kader è stata colpita alla testa ed è morta sul colpo. La rabbia
per quanto è accaduto è stata tale che dall’altra parte del filo spinato alcuni guerriglieri
dell’Ypg che stavano assistendo alla scena hanno sparato contro le postazioni dell’esercito
turco. Incredibilmente il prefetto turco di Suruc, Abdullah Ciftci, ha negato che ciò che
tutti hanno visto e che è stato anche ripreso in alcuni video sia mai avvenuto, ed ha parlato
solo dell’uso di lacrimogeni da parte dei poliziotti che sorvegliano il confine. Ha
raccontato il parlamentare curdo del Partito Democratico dei Popoli (Hdp) Ibrahim Ayhan,
testimone dell’omicidio: “Ci trovavamo sulla frontiera. Hanno attaccato senza dare alcun
avvertimento – ha spiegato all’emittente televisiva CnnTurk – Non é giusto che un soldato
uccida un civile in questo modo. Lo condanniamo”. L’attacco delle forze di sicurezza
turche ha causato anche altri 4 feriti, due dei quali musicisti. I deputati dell’HDP di Şırnak,
Faysal Sarıyıldız e di Urfa, İbrahim Ayhan, hanno presentato interrogazioni scritte al
parlamento turco chiedendo conto al Ministro dell’Interno Efkan Ala e al Primo Ministro
Ahmet Davutoğlu del comportamento omicida delle truppe schierate alla frontiera con la
Siria.
. Nelle interrogazioni i deputati hanno chiesto: “Perché i soldati che hanno affermato
di aver ‘avvertito’ componenti armati dell’ISIS che hanno violato il confine turco una
settimana prima che Kader Ortakaya venisse uccisa con colpi di arma da fuoco, sparano ai
civili senza avvertire?”. Sarıyıldız ha ricordato che l’agenzia di stampa Dicle ha pubblicato
un filmato che ritrae le truppe turche che conversano tranquillamente con alcuni jihadisti.
In seguito alla diffusione delle riprese lo Stato Maggiore turco si è giustificato affermando
che i soldati stavano ‘avvertendo’ i due miliziani islamisti del fatto che si trovavano in un
campo minato. Sarıyıldız ha chiesto polemicamente al Ministro dell’Interno Efkan Ala:
“Sono stati uccisi, feriti o arrestati dei componenti dell’ISIS mentre attraversavano il
confine ad Hatay, Kilis e Urfa? Quanti componenti dell’ISIS sono stati arrestati e quanti
rilasciati?”. La giovane Kader Ortakaya, che era arrivata alcune settimane fa a Suruc e
stava prestando la sua assistenza ai profughi di Kobane e di altre zone del Rojava costretti
a fuggire dalle proprie case e dai propri villaggi a causa delle persecuzioni degli estremisti
sunniti, nei giorni scorsi aveva scritto una lettera indirizzata alla sua famiglia avvertendo
che avrebbe cercato di andare a Kobane per combattere a fianco dei suoi fratelli e sorelle.
Ecco la lettera scritta da Ortakaya alla sua famiglia:
“Cara famiglia,
Sono a Kobanê. Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per
tutti noi. Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’umanità. Se oggi manchiamo
nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe
colpiranno le nostre case. Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati.
Io credo di poter essere più utile unendomi a questa guerra che andando a lavorare in un
ufficio. Probabilmente vi arrabbierete con me perché vi rendo tristi, ma prima o poi capirete che
ho ragione.
Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali. Non voglio che nessuno venga sfruttato
per tutta la vita per avere un pezzo di pane o un riparo. Perché questi desideri si avverino,
bisogna lottare e combattere.
Ritornerò quando la guerra sarà finita e Kobanê sarà riconquistata. Quando tornerò per piacere
accogliete anche i miei amici. Per piacere non cercate di trovarmi. È impossibile farlo. Una delle
ragioni importanti per la quale sto scrivendo questa lettera è che non voglio che facciate sforzi
per trovarmi e che ne soffriate. Se mi succede qualcosa ne sarete informati.
Se non volete che venga incarcerate e torturata in carcere, per piacere non rivolgetevi alla
polizia o ad altre istituzioni dello stato. Se lo farete, io, voi e i miei amici, tutti ne soffriremo. Non
dite nemmeno ai nostri parenti che sono andata a Kobanê in modo che non sarò incarcerata
quando tornerò. Strappate questa lettera dopo averla letta.
Se volete fare qualcosa per me, sostenete la mia lotta. Siete rimasti in silenzio rispetto a tutti i
malfunzionamenti dello stato. Dite basta al fatto che la gente viene uccisa per la strada, esposta
a bombardamenti con gas, bombardata come è successo a Roboski. Continuerei a partecipare
alle manifestazioni e alle attività delle associazioni se vivessi con voi. Vi affido la mia lotta fino a
quando tornerò.
Vi abbraccio tutti, mia madre, mio padre e Ada, Deniz, Zelal e Mahir che sta per nascere.
Mando un saluto particolare a mio fratello Kadri. Farà quello che è più adatto a lui.
Vi abbraccio con tutti i miei sentimenti rivoluzionari.
Il telefono è un regalo di mio fratello. Dentro ci sono le nostre foto. Mando la mia tessera di
studente a mia madre. Lasciatele comprare le sue medicine fino a quando torno.
Vi amo tutti molto. Per il momento arrivederci”.
(di Marco Santopadre)
Contropiano.org
sabato 8 novembre 2014
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