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Chi deve a chi?

Negli ultimi anni, diverse pubblicazioni si sono occupate di “società del debito”, da quello sovrano e pubblico, a quello personale, morale e climatico; questa sequenza di libri può essere vista come una prova dell'interesse e dei problemi irrisolti, sia dal punto di vista del capitale, sia da quello delle lotte, per quanto riguarda il tema del debito.

I sei capitoli di Creditocracy and the case of Debt Refusal (Andrew Ross, 2014) si concentrano sulla storia dell'economia del debito negli Stati Uniti, sia a livello familiare che a livello pubblico e locale. Nonostante il focus, Ross mantiene viva la consapevolezza, in tutto il libro, del meccanismo globale che sviluppa e perpetua la Creditocracy, allo stesso modo in cui non dimentica il ruolo del governo degli Stati Uniti nello sviluppo di questo meccanismo, sia a livello nazionale che internazionale. L'analisi di tali strumenti si accompagna alla narrazione delle forme di lotta e di opposizione ad essi su scala globale, riprendendo i contenuti dei movimenti di cancellazione del debito internazionale e contro le istituzioni del Washington Consensus su scala statunitense (con purtroppo marginali riferimenti a movimenti locali in altre parti del mondo), dove Ross ricorda la centralità delle questioni dell'indebitamento in tutte le lotte sociali che hanno attraversato gli Stati Uniti fin dalla loro costituzione. Creditocracy è, curiosamente, una parola usata da Mario Monti per rappresentare il potere delle banche Europee1. Creditocrazia, nel senso di Ross, è il tipo di società in cui la classe dei creditori ha il potere incontrollato, e dove le fonti primarie di reddito e di influenza sono l'accumulo di ricchezza attraverso rendite finanziarie e strumenti di debito. La Creditocrazia emerge quando il costo della produzione dei beni sociali viene a gravare individualmente e, per questo, necessita di un accesso agli strumenti finanziari/di debito per essere sostenuto; in questo senso, lo scopo della classe creditrice è creare debito su ogni possibile bene sociale: ogni possibile flusso di reddito nella società deve garantire un flusso di servizio del debito stabile e duraturo. Non ultimo, la Creditocrazia sviluppa un sistema di potere strettamente intrecciato con le istituzioni correnti, com'è vero che le banche beneficiarie dei salvataggi pubblici sono chiamate “Too big to fail”, è anche vero che queste sono in fin dei conti considerate “Too big to jail”. Nel suo senso ultimo, vivere in una creditocrazia implica l'ipotesi che i nostri debiti non devono e non saranno mai saldati: gli istituti di credito dipendono, nella loro profittabilità, dal mantenere le persone in debito per tutta la vita, in tal senso, esse non vogliono che il debito sia interamente rimborsato. Quest'ultimo, centrale, concetto è riassunto nel titolo del primo capitolo, "We are all revolver", dove revolver si riferisce alla terminologia usata per indicare il tipo di debito creato dall'uso delle carte di credito, dove l'utilizzatore cliente può pagare, a fine periodo, l'intero importo dovuto oppure un minimo, andando a capitalizzare il resto del debito attraverso il meccanismo degli interessi composti, trascinandosi una somma dovuta sempre più grande e mai esigibile per intero. Questo termine si è allargato nel suo significato, fino ad indicare, in generale, gli individui o le famiglie che lottano per tenere la testa fuori dall'acqua. Questi hanno, forse, intenzione di pagare il saldo mensile per intero, ma di solito falliscono; questi revolver sono l'albero della cuccagna dei profitti per il settore finanziario. Al contrario, coloro che riescono mensilmente a saldare per intero i propri debiti sono conosciuti come "pesi morti". Per i revolver, i debiti si moltiplicano molto più velocemente rispetto alla capacità di rimborsarli, cosa che fornisce un continuo flusso di rendite ai creditori che sanno di non potere mai avere restituiti i debiti nella loro totalità. Gran parte di questo capitolo è anche dedicato all'analisi della gestione del debito locale e pubblico, e di come questo influisce sull'accesso di tutte e tutti alla piena cittadinanza; questo argomento si apre ad una discussione sul contratto sociale, la sua storia nel contesto del mondo occidentale, e la sua relazione con il concetto di sovranità. Questa discussione procede alla luce della storia della crisi del debito sovrano nei paesi del Sud, dei parallelismi con le politiche di austerity europee e le istituzioni internazionali fautrici della loro applicazione; il testo non si esime, giustamente, dall'usare gli strumenti della critica coloniale per raccontare le implicazioni di queste politiche. Anche i paesi e le amministrazioni locali diventano revolver, in una Creditocrazia globale, come il caso ad esempio del default di Detroit, del sistema statale Greco o anche del Piemonte e della città di Torino post-olimpica ci insegnano. Il secondo capitolo riprende la questione dell'accesso alla cittadinanza e dei diritti, questa volta su un livello microeconomico. In primo piano vi è la strumentalità, in termini di governance sociale, della moralità e della vergogna che circonda il debito individuale. Gli Stati Uniti sono ampiamente descritti come la nazione leader del travisamento mediatico delle proprie lacune sul fronte del welfare con storie, ben costruite, di fallimento personale. In primo luogo, il debito personale è di per sé una forma di controllo sociale biopolitico, a partire dal modo in cui crea condizioni più dure per la messa in campo di lotte “tradizionali”, sul lavoro e sui diritti. È interessante, da un punto di vista europeo, notare alcune particolarità di questo spaccato rivelatore sui meccanismi di controllo del “American Dream”, sulle tipologie ed i modi della società di consumo per eccellenza, che hanno chiaramente forti parallelismi ma anche grandi differenze con la realtà del nostro continente. Alcuni accenni sono anche fatti alle conseguenze dei differenti sistemi monetari (USA/UE), senza però cadere in costruzioni complottiste/dietrologiche che l'argomento talvolta solleva.

I capitoli terzo e quarto sono strettamente collegati tra loro. Il finanziamento attraverso il debito dell'istruzione superiore crea un'ipoteca sui redditi e guadagni futuri. Limitare l'accesso all'istruzione universitaria, o renderne le conseguenze più gravose è un altro potente strumento di disciplinamento sulle giovani generazioni, allo stesso modo (ma in senso opposto) di come l'allargamento dell'accesso della cosiddetta “università di massa” è stato una parte della "promessa di un futuro migliore" nel contratto sociale negli anni '50 e '60 nei paesi occidentali. Politiche di controllo che tendono a “limitare un eccesso di domanda democratica” che una popolazione troppo istruita porterebbe”.2 Ross analizza anche i meccanismi speculativi che operano in tal senso, facendo aumentare le tasse di iscrizione, inasprendo le condizioni di indebitamento sui prestiti universitari ed allontanando l'istituzione pubblica dal controllo amministrativo degli istituti universitari. La chiusura di questo terzo capitolo porta una tesi critica ad un nuovo strumento dell'istruzione universitaria, i cosiddetti MOOCs (Massive Open Online Courses); essi sarebbero falsamente democratici nell'accesso al sapere, creando una stratificazione evidente tra i frequentanti, fisicamente presenti, gli studenti di serie A delle Ivy League, ed i distanti studenti on-line, di serie B. Nel capitolo dedicato al legame tra il debito e il lavoro vengono individuati gli strumenti, più o meno nuovi, di sfruttamento sullo stipendio e sui tempi di pagamento del lavoro subordinato, attraverso un elenco di tutte le forme di lavoro gratuito (stage, straordinari obbligatori e non retribuiti, riduzione progressiva della paga, sia lorda che in termini di potere d'acquisto); questi fenomeni, non nuovi ma moltiplicatisi nel terreno fertile del biocapitalismo cognitivo, sono descritti da Ross sia come auto-sfruttamento che come furto salariale. La traiettoria di questa storia punta all'enorme problema, negli USA in primo luogo, del debito sanitario e della scomparsa del patto pensionistico intergenerazionale. Se il debito è un trasferimento inter-temporale di reddito (visto in ottica individuale, così come raccontato dall'economia neoclassica), le prospettive future di vita in questa Creditocrazia sono irrimediabilmente danneggiate, dal momento in cui la spesa sanitaria è obbligatoriamente assunta sotto forma di debito personale, nei termini del "debito esistenziale", così definito da Blacker3, ovvero quello che è impossibile separare dalla continuazione della propria stessa esistenza. In modo parallelo, la vita lavorativa dell'età adulta è parimenti paralizzata dalla servitù sul debito contratto per accedervi, ovvero quello universitario. Nel quinto capitolo la ricerca di un "debito legittimo", utilizzato come contrapposizione a quello ingiusto ed illegittimo delle banche, si incontra con gli strumenti della lotta ai cambiamenti climatici ed allo sfruttamento neoliberista delle risorse naturali, alla luce della critica alle pratiche colonialiste su questi temi. Questa argomentazione si sofferma anche su come, in mancanza di un discorso politicamente strutturato sul debito climatico, la politica neoliberista di gestione dei disastri trovi ampio spazio per ulteriori spossessamenti e sfruttamenti, portando ad esempio le conseguenze dei tornadi Katrina e Sandy; il discorso è facilmente replicabile in episodi a noi più vicini, dove conseguenze di disastri ambientali sono amplificate dalla speculazione edilizia precedente e dall'accaparramento degli appalti di ricostruzione successiva. Il libro si chiude con un capitolo dedicato alla critica al dogma della crescita economica e del PIL; la discussione qui non costituisce un elogio ingenuo alla contrapposta fede nella decrescita e nella castità, ma è un tentativo di prepararsi per un futuro inevitabile, da costruire in termini di nuove forme di democrazia e di governance dell'economia. È importante notare alcuni punti nello sviluppo del libro: una attenta critica alla richiesta di un giubileo dei debiti come risoluzione finale al sovra-indebitamento è perfettamente coerente con le dichiarazioni finali per un cambiamento delle condizioni generali di produzione e riproduzione della società, in quanto delinea come, seppur in linea pratica un giubileo rappresenterebbe un sollievo dal giogo del servizio al debito, esso non scardina il meccanismo ultimo di creazione dello stesso, ovvero la mancanza di un sistema di riproduzione della società distribuito collettivamente; allo stesso tempo, secondo Ross, è invece la contrapposizione, morale e sociale, tra debiti legittimi ed illegittimi che costituirebbe la base per l'esplosione, dal basso e condivisa, della creditocrazia.

Questo libro può essere letto come un percorso, guidato ed argomentato, verso una presa di coscienza dell'incompatibilità tra debito e diritti, tra società indebitata e democrazia, tra la mancanza di alternative al mercato finanziario e la giustizia sociale. La confusione tra il benessere e l'accesso al credito si è dimostrata essere strumento di accelerazione dei profitti ma anche bomba ad orologeria per il capitalismo finanziario. Alcune delle argomentazioni usate si districano sullo scivoloso crinale della distinzione tra “debito ad uso speculativo” e “debito ad uso produttivo”, ma la deriva efficentista può facilmente essere evitata se la lettura di tale distinzione avviene, come Ross ci ricorda più volte, alla luce di una critica radicale al sistema produttivo attuale, usando come guida gli obiettivi di condivisione e mutualismo della produzione e della riproduzione. Similmente si può dire del richiamo, che compare in diversi punti del libro, all'incapacità dei governi alla regolazione dei mercati finanziari. Ross non auspica una maggiore regolamentazione all'interno di un sistema di rappresentanza elettorale, ma porta degli esempi di come la Creditocrazia sia sostanzialmente non regolabile, come molti altri processi economici neoliberisti, e che quindi costituisca uno degli esempi del fallimento (o meglio, della strumentalità per il capitale) delle democrazie rappresentative di stampo occidentale. Il leitmotiv del libro, ripreso in più punti con diverse formule, è la riproposizione della domanda “Who owes who?” (Chi deve a chi?), ma è facile leggervi la semi-omofonia “Who owns who?” (Chi possiede chi?). Non è solo una domanda sul quali siano i debiti legittimi (sebbene diverse risposte vengano date in questo senso, anche da un punto di vista morale), ma soprattutto un discorso di ampio respiro su quale sia l'origine della legittimità di un debito, ed è probabilmente questo uno dei punti più interessanti da scoprire nello scritto di Ross. (di ILARIA BERTAZZI)
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lunedì 14 aprile 2014


 
News

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