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La crisi abitativa: una frode sociale.

La questione abitativa in questo inizio secolo può essere letta come una frode sociale perpetrata nei confronti dei soggetti economicamente più deboli, che si basa su un assunto dogmatico: in Italia non esiste una emergenza abitativa in quanto la stragrande maggioranza (83%) dei suoi abitanti vive in case di proprietà. Viene sostenuto che ciò è indice di progresso e benessere quando si scopre poi che questa percentuale ci accomuna ai paesi più in difficoltà come la Spagna, il Portogallo, la Grecia e ci allontana da quelli più sviluppati quali gli USA, la Francia e la Germania dove più o meno la metà degli abitanti abita appartamenti in affitto.

Leggendo i dati più attentamente ci accorgiamo poi che anche in Italia gli inquilini non sono una fetta di popolazione così marginale come si vuol far credere: su 14milioni di edifici censiti (comprese le case sfitte, le seconde e terze case) 5 milioni risulterebbero gli alloggi in affitto a cui però bisognerebbe aggiungere tutti quelli locati con contratti in nero, che sono ancora molti. Prendendo i dati dell’ultimo censimento ISTAT con una media di 2,4 abitanti per ogni famiglia, scopriamo che quasi un quarto della popolazione italiana vive in case in affitto concentrate essenzialmente nelle aree metropolitane. A questi si devono aggiungere le oltre 71mila famiglie che dichiarano di abitare nelle baracche il che significa che tre nuclei su mille vivono in condizioni di estrema precarietà. A fronte di questa sommaria fotografia della situazione abitativa italiana che avrebbe fatto riflettere qualsiasi ammonistratore pubblico onesto, perlomeno intellettualmente, i governi che si sono succeduti nel periodo in esame sono intervenuti tutti a favore della rendita immobiliare. Infatti, mentre le domande di alloggi popolari crescevano esponenzialmente fino ad arrivare alle oltre 700mila attuali con indici di soddisfacimento infimi, si è messo in atto un enorme processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, difatto, riducendolo di un quarto e viene tolta l’unica tassa di scopo (ex-Gescal) che permetteva il mantenimento e lo sviluppo di questo patrimonio. Intanto viene varata la legge di liberazione del mercato dei fitti (L.431/98) che provoca, in concomitanza del passaggio dalla lira all’euro, il raddoppio dei canoni di locazione e di conseguenza l’inesorabile escalation degli sfratti per morosità . Nel giro di 10 anni gli sfratti si incrementano di oltre il 60% e nello stesso lasso di tempo oltre 250mila famiglie vengono sfrattate dagli ufficiali giudiziari con l’intervento della forza pubblica. Come se avessero cacciato dalle loro case tutti gli abitanti di Palermo.

Inevitabilmente riducendo l’offerta di alloggi a canone sociale e ingessando il mercato delle locazioni, la domanda di casa di quel settore della popolazione a basso reddito non trova più soddisfacimento se non sul mercato immobiliare, alimentando la bolla speculativa. Senza contare che i soldi che finiscono nel mattone oltre a uscire dal circuito della produzione, vengono sottratti alle spese primarie delle famiglie, quali istruzione, sanità e cultura causandone conseguentemente il peggioramento delle condizioni di vita Ma questo fenomeno, con la crisi, innesca un altro fattore di emergenza abitativa: i pignoramenti. Su 3.500.000 mutui in Italia le banche ci dicono eufemisticamente che oltre 500mila sono in sofferenza e che 200mila sono in fase di pignoramento. Ma il dato drammatico è che negli ultimi tre anni sono stati pignorati 100mila alloggi. Come se avessero cacciato dalle loro case tutti gli abitanti di Bologna. Di fatto tutte le politiche adottate negli ultimi anni in materia stanno causando, in un periodo di grave crisi economica, una sfacelo sociale e nulla lascia intravedere, neanche nel dibattito della “sinistra” persasi in asfitticche proposte sull’housing sociale, una tendenza diversa e riparatrice.

Ne le osservazioni dai vari PGT in discussione appare una attenzione minimamente sufficiente alla questione del disagio abitativo reale. Persino l’articolazione dell’IMU e l’IVA sui contratti di locazioni a canone sociale, prevista dal decreto liberalizzazioni, porteranno ulteriori peggioramenti alle già precarie condizioni di molti nuclei famigliari. L’ormai prevalente e certificato numericamente fabbisogno di alloggi a canone sociale dovrebbe tradursi invece nella priorità di intervento del governo e delle amministrazioni locali a tutti i livelli, con indirizzi di spesa specifici, una regolamentazione del mercato delle locazioni e una più equa gestione del governo del territorio.
www.controlacrisi.org

giovedì 31 maggio 2012


 
News

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