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Pink slime o “poltiglia rosa”: la carne separata meccanicamente non è sparita. Troppo conveniente per le aziende

Sono passati circa due anni dalla ribalta del cosiddetto pink slime, la poltiglia rosa, ovvero il preparato industriale fatto con scarti di lavorazione insieme a parti selezionate delle diverse carni, impiegato negli Stati Uniti per hamburger e piatti pronti, al punto da essere presente, secondo le stime, nel 70% dei prodotti a base di carne. Lo scandalo aveva occupato le prime pagine dei media di molti paesi, Italia compresa, dove però il suo impiego è limitato alla carne di volatili e di suini (in etichetta è chiamata “carne separata meccanicamente” o “CSM”).

La campagna contro il pink slime, allora, prendeva le mosse da uno degli additivi usati per abbassare la carica batterica, l’idrossido di ammonio. La sostanza è considerata innocua da quasi tutte le autorità sanitarie, ma invisa ai consumatori, e aveva portato i grandi produttori americani a dichiarare che la poltiglia non avrebbe più fatto parte dei prodotti venduti. Ma le cose, oggi, stanno diversamente, e le buone intenzioni sono sfumate, oscurate dal business. Il principale produttore di carne al centro dello scandalo ai tempi, la Beef Products Inc, che era stata costretta a chiudere diversi impianti per il crollo delle vendite, e aveva interrotto la preparazione di pink slime, nei giorni scorsi ha annunciato la ripresa della lavorazione, chiamata con il termine assai più neutro di “Lean Finely Textured Beef” – LFTB – (manzo magro e finemente tritato), così come sta già facendo il principale concorrente, la Cargill, che propone l’FTB (Finely Textured Beef). La propaganda pro “carne sparata meccanicamente” è diffusa, come dimostra il sito “Beef is Beef” della Beef Products Inc, su cui si possono trovare i valori nutrizionali e il procedimento per la produzione.

Ma la preoccupazione dei consumatori non è passata, e la domanda è: a chi vengono vendute le due varianti del pink slime, dove le si ritrova? E quanto sono sicure? La prima risposta è: ovunque. Consapevoli del calo di popolarità (e di vendite) legato al pink slime, nel 2012 McDonald, così come catene di grande distribuzione quali Kroger e Safeway, avevano annunciato di non voler più utilizzare questi preparati, mentre lo US Department of Agriculture aveva escluso tutti i piatti a base di pink slime dalle mense scolastiche. Ma, passato il panico, le aziende sembrano assai meno preoccupate dei propri clienti e della fiducia che essi accordano loro, e più interessate al mercato. Per questo oggi, secondo il Wall Street Journal, la Cargill vende il suo FTB a 400 clienti diversi, tra catene per la ristorazione, supermercati, stabilimenti che lavorano la carne per produrre piatti pronti, e presto la Beef Products Inc farà lo stesso. La Cargill, dal canto suo, sottolineando che FTB è uno dei modi migliori per fare rendere al massimo l’offerta di proteine della carne in modo sicuro e sostenibile, ha ammesso che, dopo il minimo del 2012, oggi le vendite godono di ottima salute e anzi, sono triplicate rispetto al momento della crisi. E ha ancora una volta ricordato che l’FTB è utilizzato dal 1993 per aumentare la percentuale di muscolo, cioè di proteine nobili, rispetto al grasso, e che si deve considerare a tutti gli effetti manzo al 100%. Tuttavia, pur senza averne alcun obbligo di legge, dal 2013 l’azienda ha deciso unilateralmente di indicare in etichetta la presenza di FTB. L’American Meat Institute, associazione di produttori, ha ammesso che il successo del pink slime è motivato anche, se non in gran parte, da ragioni economiche: in tempi di crisi, i bassi prezzi dei prodotti a base di poltiglia sbaragliano la concorrenza delle carni più pregiate, e ha a sua volta ribadito che idrossido d’ammonio e acido citrico sono ammessi e utilizzati in moltissimi prodotti oltre al pink slime, senza che i consumatori se ne preoccupino minimamente. Del resto, per ciò che riguarda la scurezza, i produttori e le loro associazioni di categoria, si fanno forti del pronunciamento dello US Department of Agriculture, che nel 2012 scriveva: “Il processo utilizzato per produrre l’LFTB è sicuro ed è stato usato per molto tempo. Aggiungere LFTB alla carne di manzo non significa in alcun modo diminuirne la sicurezza”. L’agenzia sottolineava già allora, inoltre, che il valore nutrizionale del pink slime è pari al 95% di quello del normale manzo, e che non viene mai utilizzato tessuto connettivo; in più, ribadiva che il processo di produzione è sicuro e non richiede normative specifiche diverse da quelle attuali.

Alle rassicurazioni di rito, tuttavia, le associazioni di consumatori, tra le quali, in prima fila, Food and Water Watch, rispondono ricordando che il pink slime è un prodotto ad alto rischio e può essere contaminato da batteri quali le salmonelle e gli escherichia coli, e che per questo viene sempre trattato con idrossido d’ammonio e acido citrico. Il trattamento, ammette l’associazione, è sicuro, e il pink slime può essere attraente dal punto di vista economico, ma potrebbe costare assai caro in termini di immagine, ed esporre comunque i consumatori al rischio di contaminazioni batteriche. Immagine che tuttavia le aziende sono ben determinate a difendere: nel 2012 la Beef Products Inc ha fatto causa alla rete televisiva ABC News per ben 1,2 miliardi di dollari proprio per il danno di immagine; la causa è ancora in corso. A quanto pare, dunque, la poltiglia rosa continua a farla da padrona sulle tavole degli americani e non solo. Fino al prossimo scandalo. (di Agnese Codignola)
www.ilfattoalimentare.it

domenica 31 agosto 2014


 
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